Contro il deserto che avanza, seminiamo resistenze

Il nuovo tentativo di iniziare l’iter dello sgombero del Centro Sociale Bruno anche questa volta pare essersi arenato.
Apprendiamo infatti dai giornali che il tavolo per l’ordine pubblico e la sicurezza tra Provincia, Comune, Commissariato del Governo e Questore, che si è svolto giovedì 21 dicembre 2022, si è concluso ammettendo che “il Centro sociale si è orientato ad attività sociali e questo gli viene riconosciuto” e soprattutto che non c’è alcuna fretta di operare, anche perché per l’area ex Italcementi di Piedicastello non esiste un progetto definito, bensì solo tante ipotesi.

Quella dei consiglieri Moranduzzo e Rossato, rappresentanti della destra reazionaria e rancorosa di questo territorio, non è stata però solo un’uscita propagandistica come si poteva ipotizzare, ma un tentativo di determinare i rapporti di forza della giunta provinciale. Se il risultato che tanto ambivano non è arrivato, occorre provare a individuare le motivazioni, riconoscendo quanto abbiamo seminato in questi 16 anni di esistenza, ma anche soffermandosi sulle prospettive del prossimo periodo, sia per stabilizzare questa situazione, sia per individuare i terreni dove produrre trasformazioni sociali.

La storia del Centro sociale Bruno è scandita e plasmata dalle iniziative, dalle lotte e dai movimenti locali, nazionali e internazionali che abbiamo intrecciato in tutti questi anni. In questo momento storico non è tuttavia sufficiente ribadire la nostra continuità con il passato ma è necessario attraversare consapevolmente il presente per proiettarci nel futuro.

Elementi fondativi sono stati fin dal principio l’autogestione e l’organizzazione dal basso, rifiutando la logica dell’isolamento e dell’autoreferenzialità, ma ponendosi al contrario come uno spazio attraversabile e di confronto. Alla luce di queste premesse, diventa un segnale importante il riconoscimento e il sostegno che è arrivato attraverso la lunga lettera indirizzata alle istituzioni e sottoscritta da influenti personalità della cultura, del volontariato e dell’arte, a cominciare dallo storico trentino Quinto Antonelli, a cui si sono aggiunte numerose altre adesioni che hanno deciso di schierarsi al fianco della nostra esperienza: di questo siamo davvero gratə e sentiamo ancora più forti le responsabilità che investono tutto il nostro corpo collettivo. Una responsabilità che intendiamo in primo luogo come la capacità di garantire l’esistenza, la vivacità e l’autonomia di uno spazio di autorganizzazione, in cui si intrecciano generazioni e si realizzano numerose progettualità, emanazione concreta di un’azione politica che ha lo scopo di cambiare rotta per migliorare l’esistente: dalla scuola di italiano, allo sportello legale e per il diritto all’abitare, dal rifugio solidale per persone in emergenza abitativa, alla ciclofficina popolare, oltre che allo storico progetto Cinemafutura. Senza contare i gruppi di lettura e discussione transfemminista, il gruppo di acquisto popolare, le centinaia di eventi musicali e culturali ma anche le numerose assemblee del Coordinamento Studentesco e di Fridays for Future che riconoscono nel Bruno la loro sede naturale.

Tutto ciò lo costruiamo ogni giorno, con la forza delle nostre idee e del nostro impegno, autofinanziando le nostre iniziative senza mai ricorrere a sovvenzioni e finanziamenti pubblici.

Perché dunque un Moranduzzo o una Rossato, sulla scia della reazionaria politica legalitaria trentina che ci ha attaccato in tutti questi anni, oggi si affannano tanto per provare a tapparci la bocca e mettere la parola fine alla nostra esperienza?

Il Centro sociale Bruno è la prova di come sia possibile, in un periodo storico dominato dall’individualismo più spinto, l’autorecupero di un edificio inutilizzato per restituirlo alla collettività. Ha mostrato le contraddizioni di una politica che parla di degrado per poi abbandonare colpevolmente e per decenni edifici pubblici all’incuria. Ci siamo rimboccatə le maniche per trasformare un cumulo di macerie e rifiuti in un presidio sociale e culturale in cui poter sperimentare e applicare nuove forme di democrazia e organizzazione dal basso.

Il Bruno si riconosce in una comunità in lotta, a partire dai Centri sociali del Nordest, ma è anche un Bene Comune: è da questo che nasce la determinazione che ci ha permesso di resistere in passato e di farlo tuttora.

Nonostante l’ipotesi di sgombero immediato pare essere accantonata, non è però il tempo di assopirsi e far calare l’attenzione. Sappiamo benissimo che qualunque segnale di autoritarismo non sarebbe rivolto solo alla nostra esperienza. Le nuove strette repressive del governo Meloni, dal “decreto Rave” ai nuovi attacchi contro le Ong che salvano vite nel Mediterraneo, sono solo l’ultimo esempio dell’attacco a qualsiasi forma di dissenso e solidarietà. Azioni utili a mascherare e a deviare l’attenzione dall’incapacità di far fronte alla crisi economica e alle disuguaglianze sociali sempre più marcate. Una propaganda che al contempo mostra il volto di una destra reazionaria che da sempre tenta di reprimere esperienze che possono innescare conflitti sociali o sono al fianco delle lotte.

Andremo avanti, a fianco di coloro che cammineranno con noi, sostenendo l’esperienza del Centro sociale Bruno ma alzando al contempo lo sguardo verso orizzonti più ampi, che vanno ben oltre le montagne e le valli della nostra provincia. Costruiamo convergenze per una giustizia climatica e sociale, per rovesciare i rapporti di forza contro i disequilibri che dominano ed opprimono l’esistente.

Il Centro Sociale Bruno è qui e ora: contro il deserto che avanza non smetteremo di seminare resistenze.

#BrunoNonSiCaccia