Ora a casa restateci voi

Note sulla (non) gestione di Fugatti e Segnana della crisi da Covid-19

INTRODUZIONE 

Nelle ultime settimane la vita di tutte e tutti noi è stata completamente travolta dalla pandemia di Covid-19. Dopo altre Regioni del nord Italia, dal 3 marzo 2020 si sono registrati i primi casi anche in Trentino. Da allora, all’appuntamento quotidiano con il punto della Protezione Civile si è sommato quello con la conferenza stampa del Presidente della Provincia. Non è trascorso molto tempo prima che fosse chiaro cosa si nascondesse sotto la scorza dell’appuntamento istituzionale: una messinscena in cui il Presidente Fugatti, cercando di dare il meglio di sé, si limita a sciorinare una sequenza di cifre drammatiche, slogan confusi e tanta retorica. Insomma, un’occasione sfruttata per (tentare goffamente di) accrescere il proprio consenso politico.  

Abbiamo dovuto assistere anche all’assessora Segnana che si limita a leggere una drammatica lista di numeri, mentre i contagi in Trentino hanno ampiamente superato le 4.500 unità ed il tasso di contagio in rapporto alla popolazione presente sul territorio è stato per più giorni fra i più alti d’Italia.  

Dal canto suo, l’assessore all’istruzione Mirko Bisesti, in ben due mesi di emergenza non ha aperto bocca, e anche il questionario “quando preferiresti tornare a scuola?” pare non sia opera sua ma della consulta dei genitori. Peggio ci sentiamo. 

Per arrivare fino a questo punto la Giunta provinciale ha seguito una strada disseminata di incapacità, incompetenza e un comportamento decisionista da parte del Presidente della Provincia. Stiamo vivendo una situazione del tutto straordinaria ed inedita nella nostra Storia, ma arrivati a questo punto è chiaro che la gestione dell’emergenza ha fatto acqua da tutte le parti: su più fronti si è consumato uno scempio di occasioni e intelligentia, che ha presentato, sta presentando e sciaguratamente presenterà, un conto salato in termini di vite umane. 

RESIDENZE SOCIOSANITARIE 

Il dato più allarmante che inchioda la Giunta provinciale alle proprie responsabilità proviene dalla gestione dell’emergenza all’interno delle RSA. Che gli anziani fossero fra i soggetti più vulnerabili è noto dal principio della diffusione del virus, e ciò rende ancora più difficile comprendere quale razionalità si possa celare dietro l’emanazione da parte del Presidente della Provincia delle linee guide interpretative del DPCM del 4 marzo 2020. 

Il decreto governativo prevedeva infatti la chiusura delle RSA al pubblico, sospendendo pertanto le visite dei parenti, al fine di limitare il più possibile la diffusione del virus. Le linee guida interpretative a firma del Presidente Fugatti, inviate alle RSA del territorio nel pomeriggio del 5 marzo 2020, andavano nella direzione opposta, prevedendo la possibilità di accesso di una persona (purchè privo di sintomi influenzali compatibili con l’infezione da Covid-19 e non provenienti dalle zone ad alto rischio) per ciascun ospite ricoverato nella struttura. L’Upipa1 ha diramato immediatamente un comunicato stampa in cui contestava la validità scientifica e la vincolatività di tali linee guida, che non sarebbero state applicate ma, anzi, inviate presso l’Istituto Superiore della Sanità per un parere in merito. 

La Giunta provinciale non ha dato credito alle preoccupazioni espresse dall’Upipa2 e il 6 marzo 2020 l’assessora alla sanità Stefania Segnana ha ribadito che la Giunta ritiene corretto che “almeno un parente possa entrare al giorno per ogni ospite delle case di riposo” perché “fanno star bene, non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico, gli ospiti3. Dopo circa una settimana, a fronte dei primi casi di Covid-19 all’interno di alcune strutture per anziani, il dirigente generale del dipartimento salute e politiche sociali Giancarlo Ruscitti, dichiara che “oggi la situazione è diversa e ci sono più restrizioni: non entra nessuno dall’esterno”4. La saggezza popolare ci viene in aiuto nel descrivere il modus operandi della cabina di regia: chiudere la stalla quando i buoi sono scappati

Passano i giorni e, bollettino dopo bollettino, assistiamo a quella che la stampa non esita a definire strage silenziosa nelle RSA e si fa strada il sospetto che qualcosa non sia stato gestito a regola d’arte. Una cosa è certa: dopo due mesi dall’inizio dell’emergenza i vertici della sanità trentina non avevano ancora individuato un metodo per sincerarsi sul numero dei decessi5

In tutto questo, l’assessora Segnana si ricorda di ricoprire un ruolo istituzionale di fondamentale importanza per la macchina della sanità pubblica solo quando ha l’occasione di fare la bulla con il Presidente dell’Apsp di Riva del Garda, reo di aver sollevato pubblicamente dei dubbi sull’operato della Giunta. La risposta dell’assessora infatti ha del ridicolo e dell’incredibile: una lettera pubblica, apparsa su un quotidiano locale, con cui Segnana non solo scarica ogni responsabilità sulla mala gestione dell’emergenza sulla RSA, alludendo alla mancata attivazione delle procedure stabilite, ma fa anche figli e figliastri ringraziando pubblicamente le altre (leggasi: quelle che non l’hanno criticata pubblicamente). Segnana non manca poi di sottolineare che i problemi nella determinazione del numero esatto dei decessi non dipendono dal suo operato, dalla confusione fra i dirigenti, dalle incomprensibili indicazioni della Giunta, ma dalle schede dei decessi e dalla loro compilazione. 

Ad ogni buon conto, la trottola è partita: i sindacati tacciano di incompetenza la Giunta provinciale, gli accademici si offrono per poter fare chiarezza nell’ambito dell’analisi dei dati per fronteggiare l’emergenza, i parenti delle vittime assumono gli avvocati (il primo esposto è arrivato ed è contro la casa di riposo di Pergine).  

TAMPONI SI, TAMPONI NO 

La seconda questione di fondamentale importanza per il contenimento del contagio è quella relativa ai tamponi, in particolare in ambito sanitario. A fronte delle raccomandazioni degli organi scientifici di cui si dirà, la scelta della Giunta provinciale è stata quella di effettuare i tamponi a coloro che presentassero sintomi evidenti e tali da dover richiedere il ricovero ospedaliero. Chi, invece, presentava i sintomi in maniera meno grave e non necessitava del ricovero presso le strutture, potendo rimanere in quarantena presso il proprio domicilio, veniva automaticamente escluso dal tampone

In una lettera del 18 marzo 2020 Marco Ioppi, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della Provincia di Trento, e Stefano Bonora, presidente commissione albo odontoiatri, richiedevano che si effettuasse il tampone a tutti gli operatori sanitari al fine non solo di tutelare chi lavora in corsia ma anche di evitare la propagazione del contagio6. Si unisce a questa richiesta anche l’ex presidente dell’Ordine dei Medici, che sottolinea come Piazza Dante abbia adottando un approccio confermativo della malattia o dell’avvenuta guarigione, senza prendere in considerazione un approccio che miri ad ottenere dei dati utilizzabili per prevedere cosa potrebbe accadere nel breve-medio termine7

Alle richieste dei dottori Bonora e Ioppi Fugatti risponde durante la conferenza stampa del 27 marzo 2020, facendo sapere con disarmante ignoranza del proprio ruolo che ”…dobbiamo ricordare che l’ordine dei medici prima del 18 marzo non ci aveva chiesto di fare più tamponi. […] Se ce l’avessero detto prima, avremmo potuto fare anche di più. Ognuno si prenda le proprie responsabilità”. Sentire Fugatti parlare di “responsabilità” quando, sostanzialmente, sta dicendo che la colpa è dell’Ordine perchè non gli ha fatto cambiare idea in tempo, è inaccettabile. Dunque non aveva letto le indicazione dell’Iss, del Comitato tecnico-scientifico e dell’OMS? E se le aveva lette, perché non ha fatto nulla in tal senso? Nel frattempo, a soli quattro giorni da queste dichiarazioni illogiche, moriva il primo medico in Trentino a causa del Covid-19. A metà aprile, si conteranno 145 contagi nel personale sanitario

In data 27 marzo 2020 è stato annunciato in pompa magna, con tutti gli slogan del caso, il raggiungimento dell’accordo per effettuare 1.500 tamponi al giorno. Peccato che i dati dei giorni a seguire, almeno fino alla fine di aprile, parlano di molti meno tamponi eseguiti e mai due volte nello stessa quantità (i risultati pertanto sono quasi inutilizzabili da un punto di vista statistico). Dall’analisi dei tamponi effettuati, comunque, è risultato un tasso di contagio per molti giorni tra i più alti d’Italia (in certi momenti più alto di quello lombardo e al secondo posto nazionale dietro alla Valle d’Aosta). 

Ancora una volta, ci troviamo a evidenziare l’occasione mancata: fare pochi tamponi, mai in numeri costanti e senza un criterio porta ad avere dei risultati più o meno spendibili in conferenza stampa, ma difficilmente utilizzabili in campo statistico. Ciò è ulteriormente confermato dal fatto che in più di un mese, precisamente al 23 aprile 2020, su circa 28.000 tamponi effettuati non è stato individuato un solo soggetto asintomatico8. Sappiamo però, in base ai dati raccolti in altre Regioni ed in altri Paesi e come ribadito anche nella lettera inviata al Presidente Fugatti dai dott. Ioppi e Bonara, la percentuale di asintomatici può raggiungere il 50%-75% dei casi noti. 

Questo occhio sempre diretto a ciò che è stato spiega plasticamente l’approccio della giunta: spiegare quanto già fatto, senza prevedere nulla e senza anticipare il corso degli eventi, limitandosi a rincorrerlo affannosamente e senza risultati positivi degni di nota. Quelli negativi, invece, sì. E reclamano a gran voce la loro importanza. 

SENZATETTO, BONUS ALIMENTARE E RIFUGIATI 

Oltre agli anziani ed al personale sanitario, un’altra categoria che si è trovata in una situazione ancora più vulnerabile di quella già problematica che caratterizza la propria condizione è quella dei senza fissa dimora. Quando è entrato in vigore il decreto che obbligava tutti a “restare a casa”, sono sorte spontanee delle domande per quanto riguarda i senzatetto: quale casa? E poi come fanno a trovarlo un posto in cui rifugiarsi in così breve tempo?

Qui a Trento, l’Assemblea Antirazzista lo ha fatto notare, con una lettera rivolta al Comune di Trento il 16 marzo 20209 e sottoscritta da numerose organizzazioni locali e altrettanto privati cittadini, chiedendo che tutti i dormitori venissero tenuti aperti 24 ore su 24. In più, si chiedeva l’apertura di un’ulteriore struttura, in modo tale da garantire un posto anche a chi si trovava in lista di attesa.

Di seguito sono stati fatti degli adeguamenti e delle modifiche da parte dell’amministrazione che vanno in questo senso. Ma con un limite evidente: nessun posto letto è stato aggiunto. Pertanto, le persone che erano fuori dai servizi all’inizio dell’emergenza si sono trovate ancora per strada. 

Quale è stato il ruolo della PAT nella gestione di questa situazione difficile? In buona sostanza nessuno, poiché nemmeno l’incremento di 27 posti letto, annunciato dall’assessore Segnana durante una conferenza stampa, è stata opera di Piazza Dante, bensì delle suore della Compagnia di Sant’Orsola che hanno messo a disposizione un immobile, concedendolo in comodato d’uso gratuito al Punto d’Incontro

Se il ruolo della Provincia si è limitato a comunicare quanto fatto da altri, ci pare evidente che lo sforzo sia stato minimo e che la volontà sia invece quella di metterci il cappello, spacciando per propria una soluzione che in realtà viene da altri. Ci si aspetta un maggiore contributo della PAT, non solo perché siamo nel pieno di un’emergenza sanitaria ma perché è proprietaria di tanti edifici inutilizzati in buono stato che potrebbero essere destinati a dormitori10. La politica miope e sloganistica della Giunta leghista era e rimane sorda alle richieste di quella fetta della nostra comunità che si trova in una posizione svantaggiata. 

Per quanto riguarda il bonus alimentare, un fondo destinato a tutte quelle persone che a causa di Covid-19 si sono trovati in difficoltà a fare la spesa, non è mancato il protagonismo della Provincia. In un momento di emergenza con conseguenze economiche drammatiche, la Giunta capitanata da Fugatti non ha esitato a mettere il suo tocco inserendo tra i requisiti per accedere al fondo la residenza: un atto discriminatorio, dal momento che non a tutti è consentita l’iscrizione anagrafica

Infatti il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nelle “Linee guida in materia di interventi di solidarietá alimentare in esecuzione all’ordinanza n.658 del 29.03.2020 della protezione civile11, sottolinea l’incompatibilità della richiesta del requisito della residenza, evidenziandone l’aspetto discriminatorio. In più, una sentenza del Tribunale di Roma del 22 aprile 2020 stabilisce che il buono spesa venga allargato pure a chi è “irregolarmente soggiornante sul territorio italiano e qui radicatosi in base al solo domicilio12. Un provvedimento analogo condanna il Comune di Ferrara per aver escluso dal bonus gli stranieri13

La situazione si è sbloccata solo dopo reiterate pressioni dei legali e dell’Assemblea Antirazzista a poche ore dalla scadenza del termine per fare domanda, facendo sì che una parte raggiungibile di chi era rimasto escluso potesse accedere al bonus.

Gli altri soggetti che stanno pagando la politica del “prima i trentini” sono i rifugiati. Il modello dell’accoglienza diffusa è stato smantellato e oltre 250 persone si trovano ad oggi ghettizzate dentro la residenza Fersina. Un luogo inadeguato, che necessita di una ristrutturazione e che nello stato in cui si trova non è in grado di rispondere alle esigenze igienico sanitarie di chi viene ospitato

A maggior ragione, da quando è iniziata l’emergenza sanitaria, queste persone si trovano in una condizione di altissimo rischio dal punto di vista della salute. È inutile dire che se si presentasse un caso di positività da Covid-19, si creerebbe un disastro. Eppure di queste persone si sa poco o niente. Da quelle parti e su questa questione regna il silenzio. In circa due mesi di emergenza non si sa se sono stati disposti dei piani preventivi adeguati e neanche se siano stati fatti dei monitoraggi sanitari tramite i tamponi

La realtà dei fatti, fino a prova contraria, è questa. La politica del “prima noi”, della marginalità, dei confini (un concetto abusato in questo periodo) pare davvero un vizio: quello di voler sempre e comunque lasciare indietro qualcuno. Al di là di tutto, occorre essere consapevoli che a rimetterci saremo tutti noi. Se non ci sono le condizioni per curare l’igiene e la sanità, si mette a rischio sia l’incolumità personale, sia quella pubblica, perché il virus si è dimostrato democratico colpendo tutti senza fare alcuna distinzione

CARCERE

Dall’ultima notizia che si ha, il quadro del carcere di Spini di Gardolo si presenta come segue: sono risultate positive al Coronavirus 8 persone, di cui 4 detenuti, 2 membri del personale amministrativo e 2 agenti della polizia penitenziaria. In questo momento ci sono 322 detenuti all’interno del carcere, numero superiore (e non di poco) rispetto alla capienza massima fissata a 240 detenuti14. Uno scenario di sovraffolamento che non lascia sereni durante questa pandemia

Il decreto cosiddetto “Cura Italia” di metà marzo (D.L. 17 marzo 2020, n. 18) ha stabilito, agli articoli 123 e 124,  che “salvo eccezioni per alcune categorie di reati o di condannati, ai sensi della Legge n. 199/2010 e fino al 30 giugno 2020 la pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se parte residua di maggior pena, sia eseguita, su istanza, presso il domicilio” e che le “licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà in deroga all’art. 52 ord. penit., possano durare fino al 30 giugno 2020”. Ebbene, nonostante vi siano 70 detenuti su 322 a poter beneficiare di questa misura, non si trovano le strutture presso cui trasferirli15. Tra l’altro il presidente della Camera Penale di Trento “Michele Pompermaier” Filippo Fedrizzi, qualche settimana fa, aveva lanciato un appello pubblico, ma non ci sono ancora notizie certe su quanti abbiano risposto all’appello mettendo a disposizione un appartamento.  

CONCLUSIONE

Al di là dell’inadeguatezza dell’attuale amministrazione provinciale, siamo di fronte ad un problema di sistema. Un problema che non è per nulla nuovo, tant’è che lo aveva già analizzato e affrontato Franco Basaglia negli anni ‘70 con la sua battaglia per superare gli ospedali psichiatrici. Si tratta della tendenza della nostra società a relegare le persone che, per motivi diversi, sono le più fragili e le più bisognose in appositi spazi, più o meno segregati, più o meno vivibili, ma sempre “a parte” rispetto al resto della società. Perciò occorre ripensare il concetto di fondo che sta dietro alla creazione di questi ambienti e riflettere su vie alternative.

Un esempio possono essere le carceri dove, com’è noto, vi sono spesso violazioni dei diritti umani: gli abusi in divisa ne sono un primo lampante indicatore, ma vi sono anche talune problematiche disposizioni della legge sull’ordinamento penitenziario e, soprattutto, il sovraffollamento. Ciò ha scatenato il panico quando si sono riscontrati i primi casi di Covid-19, facendo delle carceri una polveriera. Quando si suol dire “piove sul bagnato”. 

Sopra abbiamo parlato della “residenza Fersina” di Trento dove sono ospitati 250 rifugiati. Torniamo pertanto a ribadire per l’ennesima volta che questa struttura deve chiudere, per un ritorno al modello dell’accoglienza diffusa, con piccoli gruppi di persone inserite nelle diverse comunità locali.

Inoltre sul territorio nazionale, da nord a sud, esistono i cosiddetti Centri di permanenza per i rimpatri16 di diversi tipi e forme. Una realtà dentro la quale molti esseri umani sono costretti a vivere in condizioni degradanti, senza prospettive di vita, soprattutto a livello lavorativo e di inserimento sociale. Questi centri vanno chiusi definitivamente. È giusto precisare che un investimento sui progetti sociali, anche quelli che coinvolgono i migranti,  non è mai a fondo perduto, anzi, spesso rappresentano delle opportunità per l’intera comunità, anche perchè tagliare non vuol dire sempre risparmiare e c’è il rischio che, a lungo andare, presenti i suoi effetti negativi.

Parimenti si è vista la situazione tragica nelle RSA trentine e i danni in termini di vite umane. Una tragedia che dopo il nord Italia, ha raggiunto tutta Europa, tanto che lo stesso Hans Kluge, direttore dell’Oms Europa, non stenta a definirla “una tragedia umana inimmaginabile”  affermando tra l’altro che “Questa pandemia ha messo sotto i riflettori gli angoli più ignorati e sottovalutati della nostra società”17

È infatti doveroso soffermarsi sul sistema, inteso proprio come concetto strutturale su cui si basano le RSA. Queste non si possono dichiarare esenti da eventi spiacevoli. Si sono registrati casi di veri e propri abusi nei confronti degli anziani che hanno bucato il piccolo schermo generando indignazione. 

È evidente che occorra fare un cambio di rotta. Gli investimenti e i progetti dovrebbero avviarsi nella creazione di co-housing18 per tutte le persone che non hanno bisogno di cure mediche, ma un ambiente più “famigliare”, una comunità di coetanei che condivide momenti della vita quotidiana; e altre strutture diverse per le persone con necessità di assistenza stretta o totale. Il tutto con particolare attenzione agli spazi, all’implementazione del personale medico ed alle misure per evitare il sovraffolamento, poichè con persone fragili anche gli errori più piccoli possono scatenare una cascata di eventi.

Concludendo, anziani, migranti, persone senza dimora, carcerati, hanno tutti una cosa in comune: sono persone di cui non ci si vuole fare veramente carico; di cui, in fondo, non ci si può fare veramente carico perché mancano gli strumenti e più ancora un approccio volto a risolvere le situazioni di esclusione e di disagio. 

Crediamo che questo approccio possa essere solo la logica dei beni e dei servizi comuni,  basati certamente sul ruolo dei professionisti e delle strutture pubbliche, ma pure sul coinvolgimento e la responsabilizzazione delle comunità, sulla partecipazione collettiva. Solo se saremo capaci di iniziare a ragionare in maniera nuova, le cose cambieranno davvero.

  1.  Unione Provinciale Istituzioni per l’Assistenza
  2. F. G., Coronavirus, stop alle visite in molte case di riposo. Upipa: “Se arriva il virus nelle nostre strutture siamo finiti”, 5 marzo 2020, Il Dolomiti, https://bit.ly/3aMqttn.
  3. La strage silenziosa nelle RSA trentine. Ma quando Upipa chiedeva la chiusura, l’assessora Segnana apriva le porte, 18 aprile 2020, L’Adige, video all’interno: https://bit.ly/2KLg6LS.
  4. A.L., Coronavirus, dopo le tensioni e i primi contagi nelle Rsa passa la linea di Upipa. La Pat: ”Alle case di riposo non entra nessuno”, 11 marzo 2020, Il Dolomiti, https://bit.ly/3aTUasF
  5. Il 16 aprile il direttore Ruscitti ha ammesso che nel mese di marzo 2020 si sono registrati 135 decessi in più rispetto allo stesso mese del 2018 e del 2019, ma dei decessi totali “solo” 67 sono ufficialmente legati al Covid-19. Il 18 aprile Antonio Ferro del dipartimento prevenzione, afferma che “dall’inizio dell’epidemia nelle RSA si sono registrati 309 decessi, di questi 145 sono stati messi in relazione al coronavirus tramite tampone e 34 con le schede Istat senza tampone”. Totale: 179 vittime nelle RSA legate al Covid-19. Il 20 aprile, Paolo Bordon (Direttore generale dell’Azienda per i Servizi Sanitari) ha riportato un totale di 484 decessi, di cui 145 legati ufficialmente all’epidemia.
  6. Qui la lettera in versione integrale: https://bit.ly/2KHRWl8.
  7. Qui la lettera in versione integrale:https://bit.ly/2KLrvLq
  8. All’interno dell’articolo la tabella dell’Apss aggiornata al 23 aprile 2020: https://bit.ly/3bOHmoA.
  9. Cfr. https://bit.ly/3bK1zvG.
  10. Cfr. https://bit.ly/2SdvHYB.
  11. Cfr. https://bit.ly/3eTL8iy.
  12. Cfr. https://bit.ly/3aAVpNc
  13. Cfr. https://bit.ly/3aSQVl7
  14. Corriere del Trentino, 10 aprile 2020.
  15. Ibid.
  16. Cfr. https://bit.ly/3cZ4twN.
  17. Cfr. https://bit.ly/2VCgPVR.
  18. Cfr. https://bit.ly/3cMKIZi.