Schizofrenia

Riflessioni a tutto tondo attorno all’adunata degli alpini: tra grande evento e business, retorica nazionalista, militarismo e sabotaggi da mentecatti.

Abbiamo aspettato che l’adunata degli alpini si svolgesse prima di esprimerci perché non ci piace parlare per slogan ma preferiamo elaborare ragionamenti basati sui fatti e sulla materialità di quello che viviamo.

Proprio partendo dai fatti non possiamo che notare come il “grande evento” sia diventato la cartina di tornasole di tutte le contraddizioni, anzi di tutte le vere e proprie schizofrenie del Trentino.

Solo poche settimane fa il Presidente della provincia Rossi polemizzava, con toni non propriamente rispettosi, con quanti avevano qualcosa da ridire sul fatto che gli Schützen andassero nelle scuole a mostrare il loro costume “tipico dei paesi germanici tra cui il Trentino”.

Sono passati solo alcuni giorni e voilà il germanico Trentino viene avvolto in ben 40.000 tricolori che riempiono Trento e le valli circostanti. La cosa è tanto più stridente se si pensa che l’adunata degli alpini si è svolta nel centenario della conclusione della Grande Guerra, un conflitto che non solo devastò il Trentino, ma cui ben 60.000 dei suoi abitanti presero parte indossando la divisa austro-ungarica.

Ora non saremo certo noi a schierarci nella contrapposizione tra i due nazionalismi, quello italiano e quello tirolese, che servono allo stesso scopo: creare un’immaginaria “comunità omogenea” da cui siano esclusi migranti, dissidenti ed ogni forma di diversità e differenza di classe. Ma non possiamo che notare la dissociazione: un giorno tutti tirolesi, il giorno dopo tutti italianissimi. È ridicolo, ma dopo averci riso sopra non possiamo che riflettere sull’incapacità delle classi dirigenti trentine di narrare questa terra, di comunicare le ragioni della sua autonomia, le sue plurime identità, il suo essere luogo di passaggio e di scambio, il suo esser stata vittima di tutti i nazionalismi, la sua complessità.

Ecco è proprio la complessità che le classi dirigenti di questa Provincia non riescono a rappresentare. Non riescono a farlo perché hanno svuotato il concetto di autonomia dei suoi caratteri democratici e pluralisti, del suo essere vettore di autogoverno dal basso e di valorizzazione delle diversità.

Il disorientamento della governance non può che annichilire sempre di più quelle che sono le specificità positive del Trentino, ridotto a sfondo per turisti che lo attraversano in occasione di questo e quell’evento. Del resto, con esclusione di ristrette minoranze militanti che a certi revival ottocenteschi ci credono davvero, i tricolori così come le divise degli Schützen non sono altro che sfondi buoni per le foto di occasionali visitatori. Qui non c’è più nessuna vera specificità, nessuna idea di società e quindi nessuna idea di futuro. I trentini sono comparse per la prossima stagione turistica, per il prossimo evento.

Tant’è che alla bisogna Trento passa dalla città-convento alla città-baccanale in un baleno. Le nostre illuminate (sic!) amministrazioni provinciale e comunale negli ultimi anni hanno trasformato Trento nella città dei divieti: vietato bere nei parchi, vietato chiedere l’elemosina, vietato organizzare concerti, vietato suonare, vociare in strada (anche a capodanno!), vietato vivere la socialità. Ordine, disciplina e tutti a letto dopo il carosello come si diceva una volta.

Arrivano gli alpini e tutti i divieti vengono rimossi per l’occasione, potenziati i bus anche notturni per tornare a casa dopo aver vissuto la città. Allora non è che vi disturbano il rumore o il “degrado”, vi disturba la vita della gente, soprattutto di quella senza soldi. La città del resto è un prodotto da vendere e le facce degli studenti squattrinati o dei poveracci non creano introito. Poi per tre giorni l’anno ci mettiamo tutti il cappello da alpino, ci sbronziamo, andiamo a cantare in giro, sorvoliamo sui decibel, accettiamo il sessismo più becero e il testosterone alto, e facciamo finta di essere una comunità di simpatici montanari.

Noi ovviamente preferiamo un approccio diverso alla vita sociale, fuori dalle logiche del grande evento. Si può e si deve far festa anche senza l’arrivo di più 400.000 alpini, si può vivere senza essere ossessionati dal rumore e dal “degrado” in modo patologico, come se fossero una minaccia alla sopravvivenza della specie umana che solo eroici manipoli di anziani e commercianti possono sventare.

Nel corso di questa adunata c’è stato però anche del vero e reale degrado, degli spettacoli indecorosi che dovrebbero farci vergognare tutti, e non stiamo parlando di chi girava ubriaco, e neppure dei due che sono stati filmati mentre copulavano tra due bagni chimici, bensì di quello che è andato in scena nella cosiddetta cittadella militare allestita in centro. Lì dei militari in servizio hanno messo armi vere in mano ai bambini e nelle foto i bambini sorridono, sembrano divertirsi un mondo. Evidentemente gli adulti devono aver loro insegnato che la guerra è una cosa davvero divertente. Ecco queste sono esattamente le scene che avremmo preferito non vedere: non si era parlato di pace e di memoria negli slogan dell’adunata?

Ci ritroviamo invece con bambini sorridenti dietro alle mitragliatrici: come tutte le grandi aziende anche l’esercito ha usato l’occasione di questa adunata per il proprio marketing, per prepararsi i sottoposti o il pubblico plaudente di domani.

Sarebbe il caso che qualcuno prima o poi insegni a quei bambini un semplice dato di fatto: dopo il Risorgimento l’esercito italiano non ha mai difeso il popolo italiano, per un motivo molto semplice: nessuna delle guerre a cui ha partecipato era una guerra di difesa, erano tutte aggressioni contro altri paesi. Anche la grande guerra, soprattutto la grande guerra.

Queste cose le aveva già dette Don Milani a suo tempo e negli ultimi decenni la situazione non è certo migliorata. I soldati italiani sono stati mandati a uccidere e morire in giro per il mondo in nome della presunta “lotta al terrorismo” (partecipando in realtà ad operazioni di guerra neo-coloniale) da uno stato che poi vende armi e regala soldi alla Turchia di Erdogan che di quel terrorismo è sponsor.

C’è stata una sola guerra difensiva che il popolo italiano ha fatto: è stata la Resistenza, la guerra di liberazione dal nazifascismo. E questa sarebbe la vera pagina di storia gloriosa degli alpini, non come corpo militare ma come comunità di persone, perché erano molti i partigiani che accompagnavano il fazzoletto rosso, verde o azzurro al cappello con la piuma. Quelli erano gli alpini che davvero difesero la loro terra e la loro gente, ma poterono farlo solo dopo la dissoluzione dell’esercito italiano. Qui in Trentino i principali esponenti della resistenza Mario Pasi, Giannantonio Manci e Gastone Franchetti (rispettivamente un comunista, un socialista ed un cattolico) erano tutti e tre ufficiali degli alpini e tutti e tre vennero torturati e uccisi dai nazifascisti.

Dovrebbero ricordarsi di loro chi scrive “alpini assassini!” senza fare distinzioni e senza problematizzare una storia complessa. Dovrebbe però ricordarsene anche l’Associazione Nazionale Alpini (ANA) che ha ammesso al proprio interno l’associazione dei reduci dei reparti alpini di Salò, cioè quelli che aiutavano a braccare e uccidere quegli altri alpini che avevano scelto la libertà.

Infine non possiamo non parlare dei sabotaggi che hanno colpito la rete ferroviaria trentina nei giorni precedenti all’adunata, cioè che hanno colpito il trasporto pubblico, le persone comuni. Non l’esercito, non i politici, non i capitalisti, bensì le persone comuni.

Solo un malato di ideologia da bignami può pensare di sortire qualche effetto spaventando o creando disagio a chi si muove per lavoro o per partecipare a quello che considera un evento: chi ha agito in questo modo per noi è paragonabile a uno dei peggiori nemici dei movimenti di liberazione.

È un nemico perché provoca paura e rabbia tra centinaia di migliaia di persone facendole sentire attaccate per motivi incomprensibili, confermando i loro pregiudizi, contribuendo a renderle passive o plaudenti nei confronti dell’autoritarismo e dello sfruttamento. C’è una bella differenza tra chi cerca di sabotare o bloccare un’azienda inquinante, un’opera inutile che devasta l’ambiente e svuota le casse pubbliche, un carico di armi o di rifiuti tossici e chi invece vuole impedire la mobilità nei giorni antecedenti all’adunata degli alpini. È la differenza tra il lottare in difesa di una popolazione e il colpire una popolazione solo perché non si apprezza l’evento a cui partecipa. La differenza tra chi cerca di mettere in campo meccanismi di liberazione collettiva e chi invece, in modo velleitario, vuole dar sfogo ad una demenziale “volontà di potenza” individualista.

Chiunque sia stato a compiere i sabotaggi non è un rivoluzionario né un antifascista, ma un mentecatto. L’antifascismo e la rivoluzione sono un’altra cosa. Sono la difesa della complessità del reale, della vita delle persone contro le semplificazioni autoritarie dello stato nazione e del capitale. Questa difesa non si ottiene di certo da alcune azioni autoreferenziali, ma passa attraverso la creazione di comunità solidali e resistenti in grado di mettere in campo un insubordinazione moltitudinaria contro il militarismo, il razzismo, il sessismo e lo sfruttamento, contro la violenza del capitale.

È quello che abbiamo fatto a Macerata, è quello che facciamo ogni giorno contrastando i fascismi, creando momenti di approfondimento e di discussione, sostenendo le lotte dei migranti e dei lavoratori, contrastando chi si arricchisce impoverendo i nostri territori, smontando i meccanismi della guerra globale permanente. È questa azione pubblica e conflittuale quello che noi opponiamo alla schizofrenia del potere: la creazione di un movimento reale volto al cambiamento dell’ordine esistente.

Centro sociale Bruno