Cinque vittime in 11 giorni: numeri da bollettino di guerra; una spirale di violenza che non si ferma e che prosegue il triste cammino degli anni passati.
Le donne continuano a morire per mano degli uomini, infatti, è di ieri la notizia del femminicidio di Ester Palmieri, in Val Floriana, in provincia di Trento. Quando succede così vicino, nel nostro territorio, tutto diventa più reale, meno ovattato, il dolore diviene palpabile, la rabbia contagiosa.
Ester Palmieri è stata uccisa dall’uomo che lei voleva lasciare, in un luogo familiare, dove si è consumata la barbarie dell’ennesimo femminicidio, per mano di chi era stato il suo compagno e che non aveva accettato la fine della relazione.
Dopo averla ammazzata, premeditamente e spietatamente, Igor Moser ha posto fine alla sua stessa vita, così chiudendo il cerchio del suo piano di morte.
Questi i fatti, tristemente simili a tanti altri, che continuano a ripetersi, repliche infinite del medesimo intreccio.
A posteriori è facile attribuire colpe o responsabilità a chicchessia, ma la polemica sterile non ci appassiona, quindi ci poniamo ulteriori quesiti, da interpretare costruttivamente come spunti di riflessione: sul nostro territorio è attiva, in modo adeguato e funzionale, la rete di protezione delle donne che denunciano? È possibile accedere con facilità ai servizi territoriali e ai centri antiviolenza?
La retorica dell’amore romantico, esclusivo, possessivo non è in contraddizione con la violenza patriarcale, in casa e in strada, ma è la sua cornice fondamentale.
Nelle nostre scuole vengono forniti gli strumenti per comprendere e sradicare la mentalità che porta a questi estremi?
Siamo stanche di vivere nella consapevolezza che, se abbiamo la sfortuna di incontrare l’uomo sbagliato, questo può decidere di toglierci la vita.
Siamo stanche di sentirci impotenti: la scelta tra denunciare e non farlo è un’illusione, in ogni caso finiamo ammazzate.
Siamo stanche di vedere la reputazione di un uomo messa davanti alla nostra vita. Siamo stanche di essere costrette a scegliere tra vivere e sopravvivere.
Siamo stanche di sentirci sole, di vergognarci di essere vittime, di avere paura di quello che la nostra comunità può pensare di noi.
Siamo stanche di essere ricordate e compiante dopo essere state ammazzate, ci vogliamo vive e libere.
Centro Sociale Bruno e coordinamento studentesco