10 ottobre 2018: 12 anni di Centro sociale Bruno
Libertà, autogestione, condivisione, solidarietà. Cultura. Socialità.
Parole che per noi sono importanti e fonte di un insieme complesso di pratiche quotidiane che da anni mettiamo in atto. Quotidianamente, inesorabilmente e coerentemente contro. Contro soprattutto chi di queste parole non solo non ne conosce il significato, ma lo stravolge, contro chi è convinto che i ricchi frutti di questa esperienza non siano altro che un puntino su una mappa astratta da cancellare a proprio piacimento. Un edificio abbandonato e lasciato all’incuria è stato trasformato negli anni in un laboratorio cittadino dove si sperimentano e condividono pratiche e saperi. Un luogo dove ogni attività proposta si colloca al di fuori di qualsiasi logica speculativa e di mercato. Un laboratorio, nella e per la città, mantenuto vivo grazie all’impegno di decine di attiviste e attivisti. Il Centro Sociale è senza alcun’ombra di dubbio parte attiva ed integrante della città, migliaia di persone lo hanno attraversato in questi anni seppur con modalità e frequenza diverse. Il Bruno è stato, è e sarà parte della vita di tante e tanti.
Il centro sociale fin dall’inizio si è contraddistinto come uno spazio sociale totalmente indipendente: contrariamente all’abitudine trentina dell’associazionismo iper-istituzionalizzato, tutte le iniziative e l’autorecupero dell’immobile sono frutto solo del nostro sudore e delle nostre capacità; non c’è stata mai alcuna sovvenzione per offrire momenti di socialità come presentazioni di libri, spettacoli, cineforum e soprattutto per offrire sostegno a chiunque ne avesse bisogno: dalla scuola di italiano per cittadini stranieri, alla sartoria sociale, al magazzino per il Gruppo di Acquisto Solidale. Tutto nasce dal “basso” e se non chiede il permesso di esistere è perché nessuna autorità può concedere il permesso o meno per vivere appieno la vita.
Eppure a inizio giugno apprendiamo da una pec di Patrimonio del Trentino che esiste una bozza di progetto di riqualificazione dell’area ex Italcementi (nulla di definitivo e senza alcuna previsione di spesa) dove si reputa assolutamente necessario radere al suolo questa esperienza per fare spazio nientemeno che a un fazzoletto d’asfalto o all’ennesimo parcheggio. In questa lettera viene indicata anche la scadenza del contratto a giugno del 2019. Pare infatti che per la Provincia sia decisamente incompatibile la presenza di un centro sociale accanto a qualsiasi cosa diversa da una polverosa area inquinata che negli anni è stata utilizzata solo come planimetria virtuale per le proposte di “riqualificazione” più disparate.
Eppure, nonostante non ci sia nulla di definito (e anche se lo fosse, i lavori di realizzazione inizierebbero e proseguirebbero con tempi estremamente dilatati) la priorità è diventata quella di avvisarci di quanto sia urgente smantellare il centro sociale. Pare che questo qualcuno, ingenuamente, creda che sia un edificio a rappresentare la nostra complessa realtà e che, una volta eliminato l’edificio, si elimini automaticamente la nostra essenza. La storia pluridecennale del Bruno è fatta di occupazioni dall’ex Zuffo alla Dogana, è una storia di lotte e tante battaglie. Non abbiamo certo intenzione di fermarci adesso e all’improvviso, soprattutto ora che è quanto mai palese che più di qualcuno ha pensato di giocare la propria campagna elettorale sulla nostra pelle.
“Cari amministratori” vorremmo farvi notare che, davvero, negli ultimi anni, non ne avete azzeccata una: Il NOT, il quartiere delle Albere, prima ancora l’inceneritore. Visti i precedenti non ci fidiamo affatto della vostra competenza, della vostra capacità di progettare alcunché e non abbiamo intenzione di lasciarvi creare l’ennesima radura, dove giocarvi poi l’ennesima retorica sul degrado e abbaiare contro una nuova “emergenza sicurezza”.
Alle piazze con il coprifuoco, alle assurde ordinanze, al piattume cittadino noi contrapponiamo la libera scelta di creare solidarietà, socialità e comunità. Rivendichiamo – e lo abbiamo sempre fatto – le nostre azioni, la nostra storia e la nostra quotidianità. A Piedicastello abbiamo conquistato un’area abbandonata e ne abbiamo fatto una foresta, una foresta in cui non ci sono “oggetti da amministrare”. Nella nostra foresta ognuno è ben accetto ma ci sono regole semplici: non si tollerano comportamenti razzisti, sessisti e omofobi, non si spaccia, i fascisti vengono cacciati. Queste regole base le trovate scritte già all’ingresso e valgono per tutti, a differenza della vostra “legalità” che varia in base al colore della pelle e alle dimensioni del portafoglio, che dice di basarsi su alcuni valori e poi li calpesta. Per questo la vostra “legalità” non ci ispira alcun rispetto. Nella nostra foresta si decide cosa fare assieme e lo si fa. Che sia un murales, un’iniziativa culturale, un concerto, una scuola di italiano, una manifestazione: ci si rimbocca le maniche e ci si mette all’opera (magari dopo essersi già fatto una giornata di lavoro).
Per questo non troviamo vincolante una decisione presa “dall’alto” senza consultarci e soprattutto basata sull’idea di distruggere subito per costruire, forse, tra dieci anni, ancora non si è capito bene cosa e con che soldi. Per questo non potremmo mai sentirci rappresentati da gente che da decenni campa alla grande facendo promesse e seminando odio, gente che non ha mai fatto nulla ma si permette di dire cosa gli altri possono fare e non fare solo perché si è fatta eleggere a forza di promesse e menzogne. Per queste ragioni non ce ne andremo a capo chino e in silenzio. Non vi lasceremo riportare il deserto dove noi abbiamo creato una foresta. Ora è semplicemente arrivato il momento di difenderla.
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