Perché non saremo al Casteller il 2 maggio
Quando quasi 15 anni fa, nell’ottobre del 2006, occupammo il centro sociale Bruno non scegliemmo un nome a caso. Avevamo infatti deciso di ispirarci alla triste vicenda dell’orso JJ1 (anche lui nato nelle nostre montagne in virtù del progetto Life Ursus) che nel giugno di quello stesso anno venne ucciso in Baviera dopo aver avuto l’ardire di varcare due confini nazionali. Per noi la storia di “Bruno-JJ1” era soprattutto una metafora rispetto alla libertà di movimento di chi, migrante per scelta o per necessità, si trova a dover oltrepassare dei confini e che per questo agli occhi della legge diventa “clandestino” e criminale, rimettendoci talvolta anche la vita.
Per molti anni la pessima gestione provinciale degli orsi non ha suscitato al nostro interno grande scandalo, era tutt’al più una delle tante vergogne che si celano dietro all’immagine ingannevole e acchiappa-turisti del Trentino “da cartolina”, tenute accuratamente lontano dai riflettori: montagne deturpate per fare sempre più spazio alla monocultura dello sci, meleti avvelenati dai pesticidi, cementificazione senza limiti, il progetto di realizzazione della nuova linea ferroviaria ad alta velocità e di una nuova mega-autostrada, ecc ecc.
Mai ci eravamo soffermati a considerare come a sé stante l’oltraggio inaccettabile arrecato ad animali che la politica aveva deciso dovessero ripopolare a scopo turistico un territorio dal quale i loro antenati erano stati scacciati a colpi di fucile da oltre un secolo e che alla minima deviazione dal copione prestabilito (quello di animali docili, buoni appunto per stare in una cartolina) venivano rinchiusi e – più o meno accidentalmente – uccisi.
Le diverse manifestazioni di quanti si dichiaravano solidali con gli orsi uccisi e imprigionati che per tanti anni hanno avuto luogo nella nostra città non ci hanno mai convinto: gli slogan elementari quando non ridicoli, l’invito a boicottare il Trentino “terra di assassini”, la rivendicazione fiera della loro (presunta) apoliticità non ci hanno mai fatto trovare nulla di interessante nelle loro piazze e mai e poi mai permesso di immaginare la possibilità di un’alleanza.
A cambiare la nostra percezione della persecuzione di cui sono vittime gli orsi trentini è stata, come per tanti altri, la grande sete di libertà ed autodeterminazione dimostrata dall’orso denominato M49, che per ben due volte è riuscito ad evadere dalla prigione del Casteller, mentre l’approccio antispecista politico ci ha fornito tutte le risposte alle tante lacune che caratterizzavano le proteste animaliste di piazza“tradizionali”. Infine l’intuizione fondamentale della chiave di lettura della resistenza animale che ha aperto il nostro sguardo sulla necessità di dichiararci solidali con quello che in fin dei conti altri non era che un compagno resistente. Non più quindi pietismo nei confronti di un “povero animale” che ha bisogno di essere salvato e protetto da individui “di buon cuore”, ma necessità di attivarsi per offrire sostegno e solidarietà materiale verso qualcuno la cui tenace voglia di autodeterminazione può essere soffocata solo dalla violenza delle sbarre.
Crediamo che nessuna liberazione animale sia possibile nel contesto semplicistico del sedicente animalismo apolitico o, per ampliare lo sguardo, del crescente settore “vegan ok” del capitalismo. L’animalismo come vestito buono per ogni stagione non ci interessa. Non crediamo in nessuna unione possibile con chi non riconosce la complessità del sistema socio economico nel quale siamo immersi e si illude di poter creare un mondo migliore semplicemente facendo appello ad una presunta “conversione” dei singoli individui verso una maggiore gentilezza verso gli (altri) animali.
Crediamo inoltre che anche il linguaggio sia importante: spesso le persone che si dichiarano animaliste si esprimono in termini di “amore” verso gli animali e altrettanto spesso li definiscono “angeli”, mentre la radice dell’oppressione ai danni dei non-umani sarebbe, a loro modo di vedere, da ricercare nella malvagità intrinseca che caratterizza la nostra specie. Non si tratta di amare o non amare gli animali, è piuttosto una questione di giustizia. Si tratta di riconoscere negli orsi trentini, come in tutti gli animali rinchiusi in una gabbia, degli individui oppressi da un potere distopico e sproporzionato (che schiaccia loro, l’intera umanità e l’ecosistema globale unicamente allo scopo di accrescere i propri profitti) rispetto ai quali la nostra posizione non può che essere di solidarietà attiva. In particolare troviamo semplicemente ridicolo che forze politiche che fanno del razzismo e del sessismo sistemici la propria bandiera possano contemporaneamente ergersi a paladini dei diritti animali, ovvero coloro che – per dirla con Horkheimer – stanno nella cantina del grattacielo che è metafora della struttura sociale capitalista. A nostro modo di vedere non ha alcun senso considerare la condizione animale come separata rispetto a tutte le altre oppressioni che la nostra società mette in atto nei confronti delle tante categorie di individui che di volta in volta vengono svalutate proprio attraverso la pratica dell’animalizzazione.
I limiti evidenti dell’animalismo (presuntamente) apolitico si sono visti anche nel momento in cui esso presta il fianco, salutandole con favore, a (non)soluzioni tampone come le proposte di trasferimento dei tre orsi prima in Romania e poi in Bulgaria, avanzate dapprima dal parlamentare leghista Filippo Maturi e successivamente dall’ex attrice Brigitte Bardot, fino al triste epilogo di pochi giorni fa, che ha visto l’effettivo trasferimento dell’orsa DJ3 in un parco zoo in Germania (dove, per altro, lo spazio a sua disposizione è inferiore rispetto a quello che aveva al Casteller prima che le venisse imposto di dividere la sua prigione con i due maschi M57 e M49).
Ritenendo a dir poco ingenua la convinzione di chi crede che un cambiamento di paradigma radicale possa avvenire attraverso la lenta “conversione” dei singoli individui da “oppressori” a “salvatori”, crediamo invece nell’importanza fondamentale dell’azione diretta volta al sabotaggio del sistema socio economico nel quale viviamo, unico vero mandante della schiavitù di tutti i viventi. E siamo certi che l’adozione di pratiche radicali anche nella nostra lotta per la liberazione degli orsi del Casteller sia fondamentale per un costante allargamento delle fila dei solidali.
Quindi la nostra lotta è per gli orsi e al fianco degli orsi. Perché siamo pienamente consapevoli del fatto che questa battaglia non sarebbe arrivata fin qui, se le due fughe di M49 non avessero creato un immaginario così potente, avendo egli stesso scardinato il paradigma dell’animale “poverino” e biologicamente predisposto alla sottomissione, tanto caro a certi animalisti che amano sentirsi “buoni”. Per quanto questo possa suonare disturbante alle orecchie di chi, con falsa modestia, sceglie di definirsi “la voce dei senza voce”, ciò che M49 ci ha ricordato è che non esistono animali inermi e “senza voce”: lontano dalla narrazione mainstream, milioni di individui resistono quotidianamente con forza e determinazione alla schiavitù. E non è con la malvagità di singoli esseri umani che le loro ribellioni puntualmente si scontrano e devono fare i conti, bensì con i mezzi eccezionali e le armi ben affilate di un sistema ideologico ampiamente consolidato, in grado di schiacciare con precisione millimetrica qualunque individuo percepito come deviante. La mucca eccentrica che fugge mentre viene condotta al mattatoio, gli orsi problematici del Casteller, i migranti clandestini, le persone non di sesso maschile, quelle non bianche, non eterosessuali, non binarie, non abili fisicamente o mentalmente.
Domenica due maggio un’accozzaglia di sigle animaliste che spazia da gruppi sinceramente apolitici fino a comprendere gruppi di estrema destra attraverseranno le strade che conducono al carcere del Casteller. Lo faranno probabilmente al solito grido di “Trentini assassini”. Per tutti i mille motivi elencati qui sopra noi abbiamo scelto di non esserci.
Ci attendono sfide più grandi. Quella di portare avanti la campagna #stopcasteller qui sul territorio con la costanza, la radicalità e l’altezza del discorso che questa lotta richiede e merita. E quella ancora più grande, di riuscire a contaminare con la ricchezza e la complessità dell’antispecismo tutti coloro che già si battono quotidianamente nelle lotte contro le varie forme di oppressione intra-umane e per la giustizia climatica, evidenziando come la persecuzione ai danni di questi (e di tanti altri) animali affonda le sue radici nel pensiero antropocentrico, che è lo stesso terreno da cui prende vita la più generale politica di annientamento del vivente che caratterizza la nostra epoca.