Il parassita del razzismo si sconfigge attaccandolo

Sciacalli! Sciacalli senza vergogna. Come altro definire chi oggigiorno specula sulla morte di una bambina di 4 anni accostando questo fatto all’arrivo di migranti in Italia?

Ancor prima di fare le doverose condoglianze alla famiglia, ancora prima di ascoltare medici ed esperti che stanno cercando di comprendere quale sia stato il vettore del parassita, ancora prima di verificare se la profilassi adottata dall’ospedale di Trento sia stata sufficiente, gli sciacalli autoctoni e nazionali, amplificati da alcuni giornali immondi, avevano già trovato il capro espiatorio, il loro colpevole.
E’ bastato che trapelasse l’informazione che nella stanza della bambina erano ricoverate due bambine burkinabè, di ritorno da un viaggio nel loro paese d’origine, per dare il via a bestialità ed interrogazioni provinciali delle varie destre. Ovviamente a nessuno è venuto in mente di porsi qualche banale domanda? Quanti sono gli italiani che ogni estate si recano in zone del mondo dove è presente il vettore? E quanti e quali sono i paesi dove si annida il Plasmodium falciparum, il parassita più pericoloso?
Sarebbe bastata una veloce ricerca sui siti consigliati ai turisti italiani (www.viaggiaresicuri.it; www.salute.gov.it; www.simvim.it; www.travelmedicine.it) per scoprire che la sua diffusione è molto più estesa della sola zona dei paesi africani dalla quale arrivano i richiedenti asilo, e che ogni anno si recano in quei paesi molti dei turisti italiani che viaggiano al di fuori dell’Europa. Nel 2016 sono più di 4 milioni e 800mila (!) i viaggi di residenti in Italia in paesi extra Ue (fonte Istat: https://www.istat.it/it/archiv io/198439). E senza contare il numero di turisti che visitano l’Italia arrivando dalle zone colpite dalla malaria.
Ma è evidente che ciò che importa, nella corrida politica attuale, è altro. E’ dare fiato alla bocca per impressionare, per attirare l’attenzione e il modo migliore per farlo, quello che dà qualche minuto di visibilità, è attaccare il nero, lo straniero, l’estraneo. Meschinità ed istigazioni all’odio che poi armano la mano di coloro che incendiano le strutture dell’accoglienza, o quella del 12enne che accoltella nella periferia romana il rifugiato eritreo. Falsità e finte ricette che incoraggiano alle espulsioni di massa verso gli immigrati, morderne soluzioni finali che possono tranquillamente circolare nel web e sui social.
Saranno le inchieste e le analisi scientifiche ad appurare cosa abbia portato alla morte la bimba. Di certo non si è trattato della semplice presenza delle due bambine burkinabè, in questa triste storia il razzismo mostra su di un singolo caso la sua duplice funzione: colpevolizzare lo straniero e rendere più difficile una riflessione sullo stato e l’efficienza dei nostri servizi pubblici, cercare di capire cosa DAVVERO ci mette in pericolo tutti, autoctoni e migranti. La caccia agli untori è sempre stata funzionale a confermare la società nei suoi pregiudizi e a rafforzare le caste al potere, ma non ha mai curato nessuna malattia né migliorato la condizione di nessuno.
Non saranno tempi facili quelli che ci aspettano, ogni occasione sarà usata per alimentare questa campagna di razzismo contro il migrante povero, e ogni risposta sarà inefficace se si limita a qualche parola di disprezzo o di condanna.
Gli anticorpi al parassita del razzismo si possono e si devono costruire a partire dalle nostre pratiche quotidiane, incominciando dai nostri quartieri, dalle scuole, dagli asili, dai luoghi di lavoro, dagli spazi pubblici. Le nostre comunità sono già meticce, i nostri figli, le loro classi ne sono l’esempio lapalissiano, e questo processo è inarrestabile.
Il nostro lavoro politico sarà quello di superare l’idea che il razzismo si batte solo con le belle parole: per annullarlo occorre togliere agibilità politica e spazi di espressione, aprendo un burrone sotto i piedi degli sciacalli.