Macerata, Firenze, Trento.

Tre città, un filo conduttore. Un filo di speranza, rabbia, proposte e protagonismo.

Macerata è solo l’inizio – Assemblea pubblica antifascista

C’è una società che si muove, sperimentazioni democratiche da inventare, un futuro da ricostruire a partire da una lotta intersezionale contro spinte e poteri reazionari sempre più asfissianti.
Toccare il fondo per darsi la spinta a risalire.

Una boccata di aria fresca che arriva.

Riprendere il fiato necessario per realizzare il presente, capirlo, combatterlo, trasformarlo.

È stato un mese intenso che ha visto alternarsi la tentata strage razzista di Macerata, un risultato elettorale spettrale, l’omicidio razzista a Firenze di Idy Diene assieme a una crescente ondata di repressione mediatica e giudiziale nei confronti di attivisti e attiviste del movimento di tutta Italia.

Un marasma di eventi che ci piombano addosso a ritmo di mitraglia, che non ti concedono il tempo di metabolizzarne uno che ne arriva prontamente un altro.

Fatti che rappresentano una cesura radicale: una società che devia bruscamente a destra, un antifascismo istituzionale di facciata e da commemorazione sempre più inadeguato alle necessità e alla complessità del presente. I nuovi secessionisti dell’Aventino, quella sinistra istituzionale che come ai tempi dell’omicidio di Matteotti si limitano alla mera testimonianza, assieme alla loro base sociale sempre più inconsistente e sempre meno incisiva, si isolano così in una realtà elitaria e fittizia, incapaci oggi come allora di capire e reagire; la tolleranza dell’intolleranza come denominatore comune in nome della più bassa e infima – ma totalmente funzionale – interpretazione della democrazia.

Il frastuono del loro silenzio è un’ulteriore accelerazione del loro tramonto.

Troviamo così chi accetta come inevitabile destino l’oscurità che sopraggiunge. Non lo fanno e non lo faranno di certo i movimenti che sanno che le tenebre non rappresentano altro che l’attesa di una nuova alba: sta tutto nel volgere lo sguardo verso est, nello scorgere una momentanea timida aurora che si affaccia all’orizzonte.

Un’attesa che non sarà mai equivalenza di un passivo immobilismo: l’alba va costruita, l’alba va conquistata.

È il 10 Marzo, dopo solo due giorni della marea femminista che ha invaso le città di tutto il mondo, si è vista una nuova marea antirazzista e migrante sfilare per le strade di Firenze in risposta all’omicidio razzista di Idy Diene ma anche una risposta a chi raccoglie i cocci delle fioriere anziché asciugare il sangue versato per mano razzista nelle strade fiorentine.

È il 10 Marzo, un mese dopo la grande manifestazione di Macerata, un momento di ricomposizione che non si vedeva da tempo, la restituzione ai movimenti di una capacità di protagonismo fondamentale, la potenza di un corteo di 30mila persone la cui forza non si è esaurita il giorno stesso ma continua imperterrita a gettare le fondamenta per un futuro nuovo. “I movimenti hanno la forza di trasformare perché essi sono già cambiamento in atto, fuori e dentro se stessi. I movimenti cambieranno il futuro perché hanno la forza, qui ed ora, di cambiare il presente”. Queste le premesse dell’assemblea pubblica unitaria post Macerata. Queste le premesse per l’alba che vogliamo conquistare.

È il 10 Marzo anche a Trento: in occasione dell’anniversario dell’impiccagione –dopo settimane di sevizie e torture- del partigiano Mario Pasi, Forza Nuova lancia la provocazione: forti del fatto di essere continuamente protetti e legittimati da polizia e istituzioni l’organizzazione nazifascista (attraverso le sue varie declinazioni) tenta nuovamente di avere agibilità in  città lanciando un banchetto in pieno centro storico.

Si comincia alle 9.30 con la sezione femminile di Evita Peron la quale sbandiera un femminismo tutto loro, un ideale che ideale non è, un ossimoro che vede nel riprodurre modelli eteropatriarcali la chiave per l’emancipazione della donna.

Nella giornata dell’8 marzo, giornata internazionale di lotta e rivendicazione, hanno avuto il coraggio di tappezzare la città con i volti che per loro incarnano l’ideale perfetto di donna, tra loro la moglie del sanguinario dittatore Assad.

È curioso come la coordinatrice di tale associazione che mira a difendere la famiglia tradizionale, rigorosamente italiana, eterosessuale e di stampo patriarcale, sia nientemeno che Karolina Ilona Garbalinska, separata e di origine polacca che spiega ai giornalisti e ai pochissimi passanti con un forte accento dell’est le politiche reazionarie che Forza Nuova vorrebbe promuovere nei confronti di immigrazione e diritti civiili.

Curioso come altrettanto curioso il caso di  Tony Iwobi, primo senatore di origine africana eletto con la Lega Nord. Episodi che fanno sovvenire alla mente un lontano 1933 quando Goebbels propose a Fritz Lang, ebreo e regista di Metropolis, di diventare una sorta di Führer del cinema di propaganda nazista: Gobbels gli disse “non sia sciocco Lang, decidiamo noi chi è ebreo”.

In un mare di contraddizioni e ipocrisia, funzionali solo a legittimare posizioni e ideologie sempre più aggressive, la risposta non poteva essere che collettiva. La pioggia, un presidio che si preannunciava di molte ore e la militarizzazione massiccia della città non sono stati un deterrente: i fascisti restano fuori e isolati dalla città come restano fuori e isolati dal tempo.

Lotta studentesca, nel volantino che cercava di distribuire nel pomeriggio, invitava gli studenti all’azione, a non essere spettatori passivi agli eventi che li circondavano: missione compiuta. Peccato per loro che questi giovani fossero dall’altra parte della barricata, in prima linea con i loro corpi e le loro voci determinati al contrastare la presenza neofascista all’interno delle città.

E i “boci” di Forza Nuova hanno fatto il piantino verso la polizia lamentandosi di non essere stati protetti abbastanza.

Qualcosa a Trento si è mosso.

Tante le persone, che hanno attraversato la piazza. Chi è arrivato dalla mattina ed è rimasto per tutto il tempo dell’iniziativa, chi passava per caso ed ha deciso di unirsi al presidio, chi aveva poco tempo a disposizione ma quel poco l’ha investito accrescendo una risposta comune, chi è stato impossibilitato a partecipare ma non ha mancato di dare solidarietà e appoggio a distanza.

L’antifascismo come necessità, l’antifascismo come pratica del comune, cosa totalmente sconosciuta ai visi stanchi della dirigenza dell’Anpi, espressione di ipocrisia riformista e di strisciante revisionismo che – non curanti di quanto stesse accadendo in piazza – si apprestavano a commemorare isolati e assonnati il partigiano Mario Pasi. Solite litanie, solito copione: una corona di fiori, qualche dichiarazione anacronistica, la presunzione di mantenere vivo un ricordo a parole ma affossarlo nel contempo con pratiche lassiste. Pubbliche commemorazioni che svolgono un’azione perturbante rispetto alle memorie culturali assieme alla creazione di momenti di condivisione artificiosi e autoreferenziali.

Non c’è Liberazione senza Resistenza.
Non c’è Resistenza senza Antifascismo.
Non c’è Antifascismo senza Comunità.

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